Medico e psicologo di base insieme: Un progetto di cura Mente-Corpo integrata - Associazione Essere Con
10 settembre 2019

Medico e psicologo di base insieme: Un progetto di cura Mente-Corpo integrata

Medico e psicologo di base insieme: Un progetto di cura Mente-Corpo integrata

A cura di Ivano Frattini

Introduzione

Oggi sentiamo continuamente in ogni ambito la parola “Stress”. La parola stress è spesso la carta jolly giocata in ambito medico per aprire e chiudere il problema del ruolo della psiche nel corpo in una sola parola. Si tratta, tuttavia di una semplificazione solo terminologica, infatti, rappresenta una sintesi di un problema che andrebbe invece visto nella sua profondità. Questa inflazione dell’utilizzo del concetto di “stress” ha con rilevanti conseguenze concettuali come, per esempio, un’insufficiente attribuzione di peso a tutte le altre situazioni patogene nel mondo della psiche non definibili necessariamente stressanti, come potrebbero essere messaggi ambientali ambigui o carenze di esperienze adeguate e formanti. Peraltro il paziente che sente attribuire la propria sofferenza allo stress, non beneficia di questa definizione, anzi spesso si sente incompreso, svilito, oppure pensa che “i medici, anche questa volta, non hanno capito nulla”, perdendo fiducia nella possibilità di chiedere aiuto. L’uomo da sempre, per sopravvivere, ha la necessità di dividere se stesso e la realtà che percepisce in pezzi da riordinare o scomporre tra se e gli altri, tra il presente e il passato, per difendersi dal comprendere ciò che altrimenti lo disturberebbe troppo. Del resto un essere umano ha il diritto di proteggersi dalle proprie paure. Come clinici, a nostra volta, per quanto ci siano indispensabili le teorie che distinguono la conversione isterica, dalla dissociazione, dalla somatizzazione, dalle fantasie sul corpo così come dalle fantasie nel corpo, il paziente rimane ai nostri occhi una persona intera. Avere l’ambizione di accogliere la persona nella sua interezza senza una selezione tra le parti che accogliamo e quelle che preferiamo evitare non è un compito facile. Il medico incontra un’importante limite rispetto al proprio positivismo scientifico quando si confronta con la natura dell’uomo e dell’esperienza umana. La medicina, rincorrendo i notevoli progressi degli ultimi decenni, è stata costretta a frammentare le competenze in proporzione al maggior numero di conoscenze. Questa corsa all’oro ha portato con sé il rischio che venga perso di vista l’approccio clinico al paziente come persona intera, a favore di impersonali flow-chart di esami e di terapie. Competenze relazionali e capacità di ascolto del medico vengono talvolta ritenute un esercizio “umanitario” o legate a velleità “umanistiche” del medico, poco conciliabili con la “scientificità”. Nel tentativo di limitare atteggiamenti fuori controllo da parte dei medici, se non per ragioni economico assicurative o legali, si rischia che perda di importanza l’ascolto e l’osservazione del paziente. È evidente come le necessità economico-sociali abbiano portato a una rilettura dal punto di vista commerciale degli esami e delle prestazioni mediche. L’Ospedale stesso è divenuto Azienda Ospedaliera, con benefici ma anche con una conseguente confusione tra costi e necessità e tra utilità e diritto. Assistiamo alla ricerca di diagnosi sempre più precoci, talvolta con un progresso nell’assistenza ma anche con il rischio di appiattimento e di patologizzazione di fenomeni fisiologici o parafisiologici (Ruggieri,2018). Si materializzano malattie, sindromi e disturbi che divengono epidemici e che a volte paiono avere come ragion d’essere quella di attribuire un nome a un fenomeno. Si rischia di confondere la verità scientifica con la verità statistica. Tutto ciò che riesce a quietare angosce importanti con l’illusione di una magica risoluzione. Vince così la statistica, il marketing, la maggioranza, l’economia (forse), ma perdiamo contemporaneamente tutti se ciò che viene dimenticato è la persona. Si rincorre un ideale di salute prefissato per tutti, perdendo la preziosità del singolo individuo. Prescrizioni di farmaci e di esami con modalità impersonali, possono indurre le persone verso una compulsiva ricerca di una salute stereotipata, dal significato più estetico che sostanziale. Gli individui sviluppano al contempo, una tolleranza sempre inferiore rispetto a qualsiasi segnale del corpo: a volte sembra che stia nascendo un nuovo modello di paziente psicosomatico che immagina sano un corpo che non da segni e prova di esistere e di esserci. Insegnanti, medici e genitori si trovano spinti da un pensiero prevalente che porta a vivere ogni evento fisico, psichico o comportamento che possano sorprendere, come qualcosa rispetto al quale è necessario ricercare una soluzione immediata. I computer corrono sempre più veloci e l’uomo desidera divenire un computer, perdendo di vista il valore del tempo, dell’attesa, del dubbio, dell’incertezza, del non sapere. (Ruggieri, 2018) La sanità mentale dice Imbasciati (2008) “risiede nella possibilità di accedere a uno stato integrato non rinunciando al potersi concedere la possibilità di tornare a stati di minore integrazione senza perdersi, potendo ripercorrere il tragitto in senso inverso. In medicina abbiamo altresì scomposto l’uomo in apparati, organi, tessuti, cellule e molecole così come in funzioni come la capacità di vedere, di muoversi, di coordinarsi, di scrivere e di leggere, ma ciò ha valore solo quando conserviamo in noi la possibilità di pensarlo contemporaneamente come uomo”. Per contro gli psicologi hanno acquisito, nelle loro facoltà, formae mentis idonee alla loro professione, diverse, se non opposte a quelle mediche che comportano irrimediabilmente incomprensioni. Tra i vari equivoci, fraintendimenti e riduzionismi, già il fatto che si è parlato di “umanizzazione”, anziché di psicologia, è espressione di una riduzione al senso comune di saperi specificamente scientifici; forse perché questi sono di una scientificità diversa dall’ideale positivistico di scienza che impera ancora nella cultura medica. Una enfasi odierna sulla “relazione” sembra basarsi sulle buone intenzioni e sul senso comune, e lascia in ombra il fatto che dovrebbe investire le strutture profonde, affettive (inconsce), della comunicazione verbale. Si mette in ombra inoltre che la “buona relazione” o meglio il buon clima relazionale nei servizi per la salute, non è un semplice surplus perché gli utenti siano soddisfatti, ma ha alla base mediazioni dallo psichico al somatico, cioè, investe le strutture psicosomatiche dell’individuo, che effettivamente hanno potere sugli automatismi biologici. Umanizzazione della medicina è pertanto parola riduttiva, se non si specifica che essa deve essere una psicosomatica della salute e come tale essere condotta secondo i parametri scientifici delle scienze psicologiche. Sicuramente nel termine “umanizzazione della medicina” emerge una malintesa concezione che per aiutare il malato siano sufficienti sensibilità e buona volontà. Ben vengano queste, ma non bastano: soltanto una effettiva Psicosomatica, disciplina scientifica come tale sviluppata nell’ambito della psicologia, deve essere affiancata alle scienze medico biologiche perché il malato sia curato in maniera integrata ed efficacemente (Imbasciati, 2008). In ambito psichico non esistono cause che abbiano interferito su funzioni che altrimenti sarebbero stati “normali” in base alla biologia; la biologia è condizione necessaria ma non sufficiente a dettare una normalità. Invece è l’ottimalità di uno sviluppo esperienziale che determina la normalità. Per curare la psiche occorre offrire al soggetto una esperienza che possa modificare il suo funzionamento. Poiché questo si è costruito per tutte le sue pregresse esperienze interpersonali (essenzialmente emotive), occorre offrire al soggetto una nuova esperienza, che possa modificare il suo funzionamento: occorre una nuova esperienza interpersonale a pregnanza emotiva. Cura, allora, ha il significato di “prendersi cura di” e non del verbo transitivo “io curo te!”. In inglese ci sono due verbi, e due sostantivi differenti; “cure” e “care”. L’aggettivo “clinico” quindi assume in Psicologia clinica un significato molto diverso da quello che ha in Medicina: questa diversità viene misconosciuta e tale misconoscimento è fonte di equivoci, tra medici e psicologi (Imbasciati, 2008).

Il progetto “Medico e Psicologo di base Insieme”.

Alla luce di quanto detto abbiamo cercato di costituire un progetto/servizio che riuscisse a far lavorare insieme il medico e lo psicologo. Il progetto quindi nasce dall’idea virtuosa di riuscire a far collaborare medico e psicologo a favore dello stesso paziente offrendogli uno spazio in cui potere ascoltare e capire nel modo migliore la sua problematica. Il “modello teorico” che l’Associazione Essere Con, attraverso il suo “Centro Studi e Ricerca sui disturbi della Regolazione Affettiva”, sta costruendo da oltre 6 anni è il frutto di una approfondita preparazione teorico-scientifica di psicoterapeuti e psicologi ed altre figure professionali, già formati professionalmente in ambito clinico, guidati dal direttore scientifico del gruppo Dott. Ivano Frattini (già presidente dell’Associazione). Il progetto “Medico e Psicologo di base insieme” è ’stato attivato ad Aprile 2016 dai medici e psicologi del “Centro studi e ricerca sui disturbi della regolazione affettiva”, gruppo presente all’interno dell’ Associazione di Forlì (FC) “Essere con”, e i medici del Nucleo di cure primarie 4 della zona Ronco di Forlì. Questo progetto prevede la collaborazione tra il medico e lo psicologo che operano entrambi all’interno del Nucleo, per offrire al paziente un approccio integrato al corpo e alla mente dell’individuo. Quasi 50 anni di ricerca hanno evidenziato il rapporto tra regolazione affettiva e numerosi disturbi somatici tanto che l’alessitimia (disturbo della regolazione affettiva) è oggi definita come un fattore di rischio per tutta la patologia, sia fisica che mentale. L’alessitimia è un deficit nella capacità di regolare gli affetti, che, a seconda del suo grado di strutturazione, può coinvolgere interamente la vita di un individuo e la sua modalità di esperire il proprio corpo, il proprio mondo interno, e le relazioni con l'ambiente esterno, Secondo la sua definizione attuale il costrutto dell'Alessitimia si compone delle seguenti caratteristiche:

1-difficoltà nell'identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all'attivazione emotiva 2-difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti 3-processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie e infine 4-stile cognitivo collegato allo stimolo reale, concreto e orientato all'esterno.

Dai medici i pazienti che di solito vengono classificati come meritevoli di cure specialistiche psicologiche o psicoterapiche, sono coloro che manifestano chiari segnali di disagio psichico. Al contrario il soggetto alessitimico non manifesta spesso alcun disagio mentale esplicito, non crea problemi al medico, anzi può risultare remissivo e condiscendente. Se i disturbi che lamenta sono di natura funzionale, e la situazione tende a ripresentarsi, potrà suscitare nel medico accorto il sospetto di una “somatizzazione” o di una dimensione ipocondriaca, e di conseguenza essere ritenuto meritevole di invio; se però il soggetto presenta invece malattie chiaramente organiche questo non mette in alcun modo in discussione i fondamenti istituzionali della relazione medico/paziente, anzi li rinforza; il medico si trova a suo agio nel ruolo di chi cura una malattia “vera”. (Taylor, 1999) Il risultato è che tra i pazienti del medico non vengono inviate proprio le persone in cui il rischio per la salute è più alto, avendo trovato soltanto il corpo come espressione del proprio disagio, mentre vengono inviate ad uno specialista della salute mentale essenzialmente le persone che comunque hanno già trovato un'espressione mentale/comportamentale (in genere meno pericolosa per la salute e la sopravvivenza) per i loro problemi. Essendo incapace di identificare accuratamente i propri sentimenti soggettivi, il soggetto alessitimico ha una scarsa capacità di comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo, e non riesce quindi ad utilizzare le altre persone come fonti di aiuto o di conforto. La scarsità dell'immaginazione limita inoltre la misura in cui i soggetti alessitimici sono in grado di modulare l'ansia e le altre emozioni mediante la fantasia, i sogni, l'interesse e il gioco. Se alla base dell’alessitimia ci sono delle menomazioni della capacità di elaborare e regolare le emozioni non è sorprendente che essa sia stata concettualizzata come un possibile fattore di rischio per molti disturbi somatici e psichiatrici che hanno a che fare con problemi di regolazione affettiva.

Numerose ricerche hanno infatti confermato che almeno il 50% delle richieste che pervengono ai Medici di medicina generale esprimono più un disagio di tipo relazionale/esistenziale che un problema somatico. La difficoltà da parte del medico oggi di offrire risposte è aumentata dalla progressiva differenziazione tra medicina e psicologia, cioè tra un approccio al corpo o alla mente della persona. Progetti, come questo, tra l’altro molto rari ed estremamente difficili da realizzare nel nostro paese, creano una prima opportunità di costituire una prassi in cui l’ascolto psicologico sia previsto per tutti, e non solo per una categoria particolare di persone. L’incontro pertanto intende evidenziare l’utilità necessaria di istituire un servizio dove si integri, attraverso la collaborazione fra lo Psicologo/psicoterapeuta e il Medico, quell’unità psicosomatica presente in qualsiasi malattia o disturbo. Questo progetti è estremamente difficile da realizzare, per tanti motivi burocratici politici ecc. ma il motivo principale, che si evince anche da questo scritto, è la grande difficoltà di comunicazione fra il mondo della medicina e quello della psicologia, con evidente reiterazione della secolare scissione Mente-Corpo Un contributo importante alla comprensione della natura di questa collaborazione è stato per noi il resoconto dell'esperienza del Dott. Solano, realizzato a Roma nel 2011. Come abbiamo già detto tante ricerche hanno confermato che almeno il 50% delle richieste che pervengono ai Medici di medicina generale esprimono più disagio di tipo relazionale/esistenziale più che un problema somatico; rimangono però abbastanza fuori da questi risultati tutte quelle persone che riescono ad esprimere il loro disagio solo attraverso il corpo. Infatti le più recenti tendenze della psicosomatica mostrano altresì, che anche il disagio che prende forme somatiche, sia funzionali od organiche, nella maggior parte dei casi riconosce anche radici psico-sociali (relazionali, intrapsichiche, storiche-traumatiche, legate al ciclo di vita) e che qualunque tipo di problema, anche indubbiamente organico, venga portato al medico, può trovare migliore soluzione se, oltre ad essere considerato in termini biologici, viene inquadrato nel contesto relazionale e nel ciclo di vita del paziente. La difficoltà da parte del medico oggi di offrire risposte ad una domanda di tipo psico-sociale è resa molto difficile dalla progressiva differenziazione, che ha origine nella seconda metà dell’ottocento, tra medicina e psicologia, cioè tra approccio al corpo, e alla mente di un individuo. Questo approccio ha portato purtroppo ad una scotomizzazione dell’importanza dei fattori emozionali e relazionali nella malattia e nella salute, e più in generale della specificità della singola persona. Resta un problema importante il fatto che molte ricerche confermano che molte persone accusano problematiche psicologiche ma sono ben pochi coloro che si rivolgono ad uno psicologo..

Modalità di cooperazione fra Medico e Psicologo.

In termini operativi ciò è tradotto nell’attivazione di un Servizio di Psicologia a Libero Accesso rivolto ai pazienti afferenti allo studio del MMG aderente al Progetto. Il Servizio di Psicologia a Libero Accesso prevede la possibilità, per i pazienti assegnati al medico cooperante e segnalati dallo stesso, di svolgere, in forma gratuita per il paziente e senza alcun costo per lo studio medico ospitante e/o per il medico cooperante, tre colloqui psicologici per la valutazione, la prevenzione, l’educazione e, ove possibile, l'intervento sulle forme di disagio psicologico eventualmente riscontrate. Da oltre tre anni infatti è stata attivata una stretta e continuativa collaborazione per fornire consulenze psicologiche alla cittadinanza in maniera diffusa, attuando il Decreto 2017 sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che sancisce il diritto dei cittadini all’assistenza psicologica. Purtroppo, questo diritto rischia di rimanere non esercitabile sia per mancanza di investimenti pubblici sia per mancanza di cultura della popolazione alla cura di tipo psicologico. Un sempre più crescente bisogno di assistenza psicologica viene inoltre testimoniato anche dal progressivo aumento del consumo di psicofarmaci utilizzati per combattere ansia, nevrosi, attacchi di panico, depressione e insonnia (attestato oggi all’ 8% della popolazione), solo per citare le condizioni più diffuse, e dal fatto che al 6% della popolazione è stato prescritto, almeno una volta nel corso dell'anno, un antidepressivo: un totale nel 2017 di circa 3,6 milioni di italiani (fonte Agenzia italiana del farmaco; analisi effettuata sui dati delle prescrizioni farmaceutiche rimborsate dal Servizio sanitario nazionale – dati 2017. Visto che almeno il 50%, come evidenziato, delle richieste che pervengono ai medici di base esprimono disagi anche di tipo relazionale/esistenziale/affettivo oltre che un problema più propriamente organico e somatico. Problemi ai quali i Medici, per mandato, tentano comunque di fare del proprio meglio per dare una prima utile risposta per “tamponare” un problema che va oltre i loro confini professionali. Vorrei, a questo punto, far presente una questione importante, a mio avviso, non basta essere psicologi per essere e fare lo “Psicologo di base” e non ci si improvvisa “psicologo delle cure primarie” come forse sarebbe più corretto chiamarlo: il nostro gruppo di lavoro si sta impegnando da quasi 6 anni nello studio approfondito e specialistico delle problematiche psico-somatiche e della regolazione affettiva. Psicologi e psicoterapeuti devono cercare di non cadere in una posizione di psicologismo riduttivista, rappresentato dalla tendenza ad interpretare i fatti del corpo alla stregua di rappresentazioni psichiche. Mentre nelle somatizzazioni acute il clinico dovrebbe evitare la tendenza opposta cioè quella di interpretare i sintomi organici o psicosomatici come accadimenti estranei al contesto psichico. In entrambi i casi una spiegazione fisiologica e psicologica della regolazione affettiva ed emozionale può essere molto utile, in quanto è opinione comune separare le cause o in fisiologiche/corporee o psicologiche mentre il mondo emozionale investe entrambe le dimensioni contemporaneamente. Per questa ragione sembra necessario per lo psicologo e lo psicoterapeuta avere un punto di riferimento in una teoria critica delle emozioni in quanto zona d'intersezione condivisa fra corpo e linguaggio. Bisogna riconoscere che le forme ipermoderne del disagio sociale e della patologia manifestano, ormai un carattere multifattoriale e sono connesse, ad un progressivo svuotamento degli aspetti comunicativi e simbolici del linguaggio. Questo mette il corpo in una posizione particolarmente centrale nelle forme di comportamento, nonché di disagio psichico. Dai disturbi ansiosi depressivi a quelli dissociativi e post traumatici, alle forme compulsive, l'intervento psicologico è sempre più tenuto a confrontarsi con le resistenze del corpo. A maggior ragione se si decide di lavorare con il paziente con patologia somatica, proprio per la dissociazione in cui questi già si vive in relazione alla malattia. Infatti, questo tipo di paziente non corrisponde, usualmente, per comportamento, capacità elaborativa, aspettative rispetto alla cura e per le caratteristiche che comportano la complessità e multifattorialità della condizione patologica, ai quadri di comportamento comuni ad una persona qualunque che si rivolge ad una consulenza esclusivamente psicologica. Bisogna capire che più ci si allontana dalla parola più ci si avvicina al corpo (Scognamiglio 2016). Ciò indica in maniera abbastanza inequivocabile un'esigenza sempre più condivisa di un allargamento della sensibilità psicologica a confrontarsi con la complessità somatopsichica e psicosomatica. Queste due tipologie sono da noi distinte come due modalità che si presentato nella disregolazione affettiva. Qui non è certo la sede per un’ampia trattazione della complessità di questa nostra scelta di dividere a livello teorico clinico queste due condizioni del disordine affettivo. Ma farò una breve sintesi, di certo non esaustiva, provando a far capire a grandi linee di cosa si tratta, in quanto la separazione di queste due condizioni patologiche sono inportanti all’interno di questa nostra esperienza.

Le condizioni definite da noi“somato-psichiche” sono forme che sono caratterizzate di una pervasiva mancanza di strutturazione e organizzazione del Sé e da una difficoltà pressoché totale a costruire rappresentazioni degli stati interni a livello psichico e che possano quindi essere messe in pensabilità psichica e parola. Gli stati affettivi emergono in seduta non-integrati né strutturati, privi nella maggior parte dei casi di contenuti rappresentativi e vissuti come esperienze prevalentemente sensoriali, indistinte e spesso minacciose per l’effetto disorganizzante che portano con sé: un sentimento di sconfinamento affettivo che soffoca la mente, che è la grande assente in queste forme patologiche. Quindi capite quando siamo lontani dall’idea comune della psiche che fa ammalare il corpo. Qui il corpo deve sostituire la mente che non è in grado di occuparsi e di elaborare su ciò che accade all’interno di Sé e del proprio corpo. Mentre le condizioni “psico-somatiche” sono forme caratterizzate da una presenza ed organizzazione di un Sé strutturato e capace di simbolizzazione. Ma al suo interno presenta più o meno, a secondo della gravità della condizione, una incapacità elaborativa e “contenitiva” degli stati affettivi che si possono produrre da stimolazioni interne o esterne ad esso. Questo accade per una presenza di rappresentazioni oggettuali non in grado di contenere i moti affettivi dell’individuo all’interno della sua mente. Quindi per evitare implosioni i moti affettivi in eccesso di contenimento verranno “evacuati” o nel soma o in agiti comportamentali o in schemi fissi e rigidi di pensiero che cercheranno di “imprigionare” le emozioni, in quanto non “digeribili”, che non produrranno, in questo tipo di “apparato per pensare”, moti creativi con possibilità di cambiamento. Quindi nella situazione somatopsichica manca l’integrazione psico-somatica ovvero la struttura del Sé. Mentre nella condizione di funzionamento psico-somatico la struttura è formata ma ha delle rotture o falle al suo interno. Nel primo caso ci sono delle dissociazioni degli stati emozionali dal Sé (stati Non-Me), mentre nel secondo gli stati emozionali non possono essere contenuti, seppur all’interno del Sé e quindi evacuati in varie maniere fuori da esso. Se dovessimo pensare a dei binari che connettono le strutture più profonde implicite limbiche con le strutture o stazioni corticali, possiamo immaginare che nel primo caso i binari non ci sono e vanno costruiti, mentre nel secondo caso i binari ci sono ma sono stati rotti e vanno riparati. Ponendo che siamo di fronte ad un sintomo di disturbo della regolazione afettiva che si presenta in forma somatica, nella somatizzazione acuta (psico-somatico) il clinico dovrebbe essere in grado di aiutare il paziente a cogliere la relazione tra la propria sofferenza somatica e le circostanze che l’hanno favorita. Quindi avere un atteggiamento comprensivo/empatico e soprattutto rassicurante. Il paziente di solito ha paura. Mentre nella somatizzazione cronica (somato-psichico) o persistente, invece i pazienti non sono alla ricerca di consigli o rassicurazioni, che spesso rifiutano, non hanno un senso di paura ed a volte sembra che non abbiano nemmeno il desiderio di migliorare la loro condizione di salute. Queste persone hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, li capisca e sia lì con loro e li accetti. Il clinico dovrebbe evitare di mettere in dubbio la realtà dei suoi disturbi, ed accettare l’esistenza di un problema e collaborare ad identificarlo e ad affrontarlo. Un’ultima caratteristica di entrambe le condizioni, anche se si riscontra in maniera più accentuta in quella somato-psichica, è l’assenza o la poca presenza di attività onirica. Concludo dicendo che in entrambe queste condizioni si riscontra evidente il costrutto di “Alessitimia” sopradescritto. L’alessitimia si può suddividerla, senza entrare nei dettagli della questione, in una alessitimia primaria, quindi più accentuta nel somato-psichico ed una alessitimia secondaria meno pregnante, ma pur sempre presente ed invalidante nel funzionamento psico-somatico.

Peculiarità del progetto

L’intervento dello psicologo si basa su tre colloqui gratuiti, sia per il paziente sia per lo psicologo che opera in maniera volontaristica, da offrire ai pazienti dei nuclei medici. L’obbiettivo dei tre colloqui è quello di cogliere il significato comunicativo dei sintomi del paziente, e i nessi di questi con le dinamiche relazionali/sociali/transgenerazionali integrandolo con il momento del ciclo di vita del paziente. Quindi l’intervento che si attua non si configura come una psicoterapia. Il passaggio ad una richiesta di cura psicoterapica è piuttosto complesso e lungo di solito, se pur avviene. E’ in questo spazio che si colloca l’intervento dello psicologo di base che sarà focalizzato sul sintomo e finalizzato alla ricostruzione o costruzione di una connessione fra quest’ultimo e la vita attuale e passata del paziente. L’invio ad uno psicoterapeuta si configura solamente come una possibilità. Lo psicologo, dopo i tre colloqui, aiuterà il medico a coordinare eventuali interventi specialistici. Sino ad ora hanno aderito a questo servizio più di 180 persone, di cui oltre la metà presentava un disturbo o malattie fisiche. Questo, a mio avviso, è il frutto di una buona collaborazione fra medico e psicologo perché solitamente costoro non si rivolgono allo psicologo. La mentalità diffusa, da secoli, porta spesso a separare erroneamente la mente dal corpo; a tal proposito cito le parole del prof. Solano, il primo in Italia che all’università la Sapienza ha sperimentato un progetto sullo Psicologo di base: “Appare, purtroppo, ancora pressoché impensabile che l’assistenza ad un disturbo che si presenta come esclusivamente somatico possa utilizzare la competenza di uno psicologo.” (“Tra mente e corpo” R. Cortina,2013). Solano afferma questo in quanto il suo progetto realizzato nel 2011, prevedeva il lavoro del medico e dello psicologo insieme dentro la stanza con il paziente. Rispetto all'intervento realizzato dal Prof. Solano, la nostra esperienza di collaborazione Psicologo-Medico di Medicina Generale si differenzia per una caratteristica peculiare: il dislocarsi dello psicologo in una stanza separata da quella del medico. la nostra scelta risponde ad una riflessione in merito alla specifica natura della relazione tra i due professionisti, relazione che abbiamo avuto modo approfondire proprio grazie alla collaborazione tra medici e psicologi all'interno dell'Associazione. - Il fatto di lavorare separatamente permette e favorisce una collaborazione medico-psicologo “differenziata”, in cui la relazione tra i due attori è esplicitata e formalizzata, al contrario di quanto avviene in una situazione di compresenza, in cui il lavoro è fortemente condizionato dal tipo di relazione che si instaura tra i due e la sintonia tra loro risulta centrale e fondamentale per una buona riuscita degli interventi. Lo stesso Prof. Solano riferisce che nelle sue esperienze di collaborazione (generalmente della durata di tre anni), il primo anno e mezzo era caratterizzato dal reciproco assestamento e dalla instaurazione di un rapporto di sintonia positivo; solo in seguito risultava possibile entrare nel vivo dell'intervento. - Il nostro Centro ha sviluppato una propria metodologia d’intervento nella conduzione dei tre colloqui. Essa presuppone che lo psicologo sia solo con il paziente senza possibili interferenze esterne o altre persone, per lavorare meglio nella relazione che si attiva con il paziente. - Un altro vantaggio infine riguarda la possibilità di una fruizione spontanea, autonoma e indipendente dal MMG del servizio da parte dei pazienti dell'ambulatorio. La nostra scelta deriva da una precisa riflessione rispetto alla natura della collaborazione tra i due professionisti. Secondo il modello seguito dalla Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute di Roma medico e psicologo lavorano in compresenza nella stessa stanza.

Questo implica per Solano( 2011) alcune importanti conseguenze:

• Lo psicologo ha accesso all'intero bacino di pazienti che arrivano dal MMG. In questo modo può intervenire ed intercettare tempestivamente anche quei casi che difficilmente arriverebbero in maniera autonoma ad un supporto di tipo psicologico. Questo è il caso soprattutto delle condizioni cliniche in cui viene riportato un sintomo somatico in assenza di patologia organica, ovvero di pazienti che potremmo definire alessitimici. • La collaborazione fianco a fianco permette uno scambio multidisciplinare e integrato che ben aderisce all'ottica di poter offrire una cura a 360 gradi alla persona; tende inoltre a limitare la concezione di separazione mente-corpo, fornendo un supporto sempre più orientato al superamento della dicotomia che lo ha caratterizzato per decenni. • La presenza dello psicologo nella stessa stanza del MMG favorisce il superamento dello stigma che caratterizza la richiesta di aiuto da parte del paziente. • Entrambi i professionisti giovano della collaborazione potendo reciprocamente arricchire e ampliare la propria esperienza professionale. Nel caso dello psicologo presente in una stanza diversa da quella del medico vi sono certamente dei limiti, come il fatto di non poter accedere all'intero bacino d'utenza che si rivolge al MMG. Possiamo affermare che questo lavoro di Solano sarebbe stato per noi, per ovvie ragioni, praticamente impossibile, anche volendo, realizzarlo, in quanto gratuito. E’ impossibile pensare che un professionista psicologo, non studente come utilizzati da Solano, e peraltro come affermato giustamente formato, possa lavorare tante ore necessarie, per seguire, come afferma lo stesso Solano, tutto il bacino d’utenza del MMG. Solano, come abbiamo visto nella sua citazione sopra tratta dal suo libro “Tra mente e corpo”, ha sempre sostenuto che il lavoro separato fra lo psicologo e il medico avrebbe ottenutocome risultato che la maggior parte dei pazienti che avrebbe usufruito dello psicologo nel progetto sarebbe stato solo da parte di coloro che manifestavano una chiara sintomatologia psicologica. Chiara e al paziente e al medico. Questo avrebbe portato ad escludere dal progetto i casi cosiddetti “psicosomatici” che hanno dei segnali di disturbo affettivo/psichici meno evidenti. Togliendo a costoro di poter usufruire di una risposta psicologica. Si è scelto, da parte nostra, con buoni risultati come abbiamo visto, di fare informazione periodica e continua al medico e una formazione che si esplica attraverso una restituzione clinica al medico, dopo i colloqui con i suoi pazienti, ed anche di incontri periodici con tutto lo staff medico. Informazione e formazione sulle dinamiche psicobiologiche e relazionali che sono implicate nelle disregolazione affettive, per sviluppare nel medico una sufficiente sensibilità su tali argomenti, per agevolarlo nel compito non facile del fare l’invio dallo psicologo, soprattutto quando è di fronte a condizioni dove vi sono chiaramente solo sintomi fisici. Ed è elevato il rischio che il paziente si possa sentire offeso. Tutto questo denota che è importantissimo “il come” venga fatto l’invio da parte del medico, per una buona riuscita dei colloqui con il paziente inviato. I risultati ottenuti dal nostro progetto, tuttora in atto, non confermano, quindi, i presupposti di Solano e ci danno ragione su un dato importante: su un campione di circa 180 persone, più della metà si sono rivolti allo sportello psicologico per problematiche che riguardavano disturbi o patologie “fisiche”. Il poter usufruire di un servizio psicologico, non solo su disturbi chiari della sfera affettiva/psicologica, ma su problematiche fisiche, è un grande cambiamento culturale che nel piccolo di questo progetto sta avvenendo. Questo è potuto avvenire perché si è lavorato bene nella collaborazione fra il medico e lo psicologo nella cura dei pazienti coinvolti nel progetto. Invece i nostri dati hanno confermato quello che le ricerche di Solano hanno evidenziato: la prevalenza delle persone viste ha un’età compresa tra i 30 e i 50 anni, età in cui le malattie sono causa di assenze lavorative con enormi ricadute economiche. E’ stata altresì confermata una bassa affluenza dei giovani tra i 18 e i 25 anni. Questa è una delle fasi evolutive più delicate, in cui di solito si manifestano per la prima volta la maggior parte dei sintomi mentali e fisici, con il rischio che un non pronto intervento consolidi e cronicizzi la condizione patologica.”

ALTRI DATI RACCOLTI DA QUESTA SPERIMENTAZIONE TRIENNALE: i dati sono numerosi e cercherò di riassumere i più significativi di seguito. Sono 4 le tipologie di disturbi psicologici maggiormente rappresentativi di questa sperimentazione: 1)disturbi d’ansia (29%); 2) disturbi psicosomatici (24%); 3) disturbi dell’umore (14%); 4) disturbi di personalità (12%); le ETA’ che maggiormente hanno usufruito di tali colloqui rientrano tra i 21 ed i 60 anni, concentrando in tale range circa l’85% del nostro campione. Oltre il 60% del nostro campione ha svolto tutti e tre i colloqui a disposizione, il 17% due colloqui ed il 23% solo un colloquio. Ai dati quantitativi seguono anche i dati qualitativi: relativamente all’efficacia del servizio offerto in termini di “utilità per il paziente”, abbiamo riscontrato che a distanza di 6 mesi dai colloqui svolti, il 64% dei pazienti ha diminuito il numero degli accessi (di questi il 16% non ha avuto accessi o richieste) presso il MMG, con conseguente diminuzione diretta sia di prescrizioni di esami sia farmacologiche, mentre per il 30% del campione gli accessi restano invariati. Tale riscontro conferma utilità quindi non solo per il paziente, diretto interessato ed usufruitore del Servizio, ma anche per i MMG ed il SSN nel suo complesso.

Per concludere vorrei osservare, come, si è strutturato questa figura dello “Psicologo di base, nella nostra esperienza. Innanzitutto questa figura è nata nella nostra esperienza, non solo dal fatto di essere psicologi, ma dallo studio intensivo e di ricerca che il nostro gruppo sta portando avanti da sette anni, delle teorie contemporanee delle neuroscienze affettive e della psicoanalisi. Dallo studio di molteplici autori, quali nel campo delle neuroscienze affettive Pankseep, LeDoux Damasio, Edelman, Schore, Hill, Bottaccioli ed altri e, nel campo psicoanalitico Taylor, Bucci, Beebe, Stern, Winnicott, Bion, Kohut, Mancia, Ferro, Imbasciati ed altri, sta emergendo, sempre con più chiarezza un nostro metodo di lavoro sui disturbi gravi della regolazione affettiva, come testimoniato all’interno di questo lavoro. La concezione della mente in sintesi adottata non è che la mente è sinonimo di coscienza e volontà ma è per il 95% inconscia come dicono ormai da tempo, oltre la psicoanalisi, ma anche le neuroscienze. Sorge il problema non dell’inconscio ma di quando riusciamo ad essere coscienti ed ancor con maggiore difficoltà consapevoli. Le neuroscienze certificano che la maggior parte degli atti che noi pensiamo essere dovuti al nostro livello di consapevolezza sia sempre stato già deciso prima dal nostro cervello inconscio. Da qui nasce l’esigenza non di vedere la mente inconscia come la metafora archeologica freudiana, di contenuti nascosti che cercano di riemergere in superficie con una più o meno capacità di coscienza di ributtarli indietro (vedi rimozione), ma avere sempre più accesso, a livello consapevole dei nostri processi inconsci. Spesso l’inconscio è conscio (ci agisce in pieno) ma è inconsapevole. Amo usare la metafora del mare, l’inconscio come un mare, dove la nostra consapevolezza è un pescatore che deve attrezzarsi di una barca (la coscienza affettiva) per navigarlo e pescare sempre più pesci ( quindi attrezzarsi di una rete o una canna da pesca) che serviranno a nutrire la propria mente. Non pescare significa far cessare di esistere la nostra mente e dissociarsi da se stessi. E’ una condizione tutt’altro che rara, ma molto presente oggigiorno. Soprattutto a chi non chiede nessun intervento di cura. La condizione di non pescare può essere dovutaal fatto che non abbiamo la rete o canna da pesca (somato-psichico) e quindi bisogna costruirla, o si è rotta la rete o la canna e va riparata (psico-somatico). Quindi il nostro intervento di soli tre colloqui, serve per dare al paziente un primo grado di consapevolezza del proprio “Patire”. Dove il patire significa letteralmente che “io” soffro il dolore o” io” soffro il piacere. Una prima forma di diventare soggetti della propria vita in salute e in malattia. Gli affetti più o meno regolati gestiscono il livello e il grado consapevolezza. In quest’ottica non apriamo finestre o scaviamo per portare in luce dei contenuti per poi lasciarli al paziente (da solo con questi contenuti), come se fossero delle patate bollenti, ma diamo una apertura di possibilità di vedere i propri sintomi in una veste diversa, un primo stadio di consapevolezza (peschiamo i primi pesci) ed aderire a nuove possibilità di cura, se la persona le vuole accogliere. Questo presuppone un lavoro intenso dello psicologo che lavorerà in questi pochi incontri sui suoi stati affettivi che la relazione con il paziente attiva per poi dare alla fine, sperando che ci si riesca, una restituzione di cosa abbiamo noi osservato e soprattutto “patito” nella relazione con lui/lei. Osservare la reazione che il paziente mette in atto insieme a noi, se glielo lasciamo fare senza difenderci, ci dà anche in pochi colloqui un’ esatta dimensione di come il paziente gestisce di solito le sue relazione affettive interpersonali, che spesso contribuiscono in maniera notevole a costruire anche le sofferenze fisiche. Quindi essere capaci di esserci con il paziente e sapere poi uscire dalla relazione che si è vissuta osservandola. Essere sia il giocatore che gioca con l’altro giocatore (il paziente) e sia l’arbitro del gioco. Questo è molto difficile e non va assolutamente improvvisato, come spesso accade. In realtà ci troviamo in una fase della ricerca psicoanalitica, ed in una evoluzione epistemologica, per cui psiche e materia, mente e corpo, soggettivo oggettivo sono attualmente meno separabili, se pensiamo per esempio che pensiero ed affetto nascono all’interno della realtà (il corpo) e a loro volta producono realtà. Bisogna, quindi, arrendersi all’evidenza che un individuo può essere in grado, se trova una sponda adatta su un altro, che sia una particolare sensibilità recettiva-empatica, di produrre “qualcosa” dentro di lui senza l’assenso del “legittimo proprietario” che non ha la possibilità di impedirlo.

Capire quali capacità ha il paziente di “digerire” la propria esperienza che fa della realtà esterna e interna e come “usa” l’altro per aiutare ad elaborarla è qualcosa di molto utile da sapere. La sua capacità di regolare gli affetti è orientata al somato-psichico o allo psico-somatico? O ha una buona capacità di “integrazione” psicosomatica? Queste possono essere informazioni molto utili, dapprima allo psicologo e, poi al medico per come relazionarsi al meglio in futuro con il paziente, per evitare forme pericolose di Burnout.

Bibliografia citata Imbasciati A. – La mente medica- Springer, 2008; Ruggieri A.- Curare la frattura fra mente e corpo- Psicoanalisi vol.22, n. 1, 2018; Scognamiglio M. –Psicologia Psicosomatica- Franco Angeli 2016: Solano L.- Dal sintomo alla persona. Medico e Psicologo insieme per l’assistenza di base- F. Angeli, 2011; Solano L. -Tra mente e corpo. – Raffaello Cortina 2013; Taylor G. -I disturbi della regolazione affettiva. -Fioriti ed. Roma 1999

DI SEGUITO I GRAFICI DEI RISULTATI OTTENUTI DALLA SPERIMENTAZIONE DA MARZO 2016 A SETTEMBRE 2019

Grafici 2019 (scarica il PDF)