Arte Terapia e regolazione affettiva - Associazione Essere Con
05 ottobre 2019

Arte Terapia e regolazione affettiva

Arte Terapia e regolazione affettiva

Arte Terapia e regolazione affettiva

A cura di Ivano Frattini, Silvia Borghini e Simonetta Guaglione.

Arte-Terapia: l’arte come cura.

Gli Atelier e i laboratori di arte-terapia sono luoghi in cui portare ad espressione il proprio sé dandogli una forma creando un oggetto tangibile e permanente. L’intento in questa cura non è quello di produrre opere d’arte apprezzabili dal punto di vista estetico, ma di stimolare, far venire alla luce quei lati creativi presenti in ciascun individuo. Le prime relazioni del bambino con la madre e con l’ambiente in cui cresce veicolano affetti ed emozioni, che costituiranno con le relative fantasie e difese un inconscio non rimosso preverbale e pre-simbolico (chiamato memoria implicita o procedurale) che verrà a condizionare la vita affettiva, emozionale, cognitiva e creativa del soggetto anche da adulto. In questo contesto, la creatività umana appare come un ri-creare collegato alla memoria implicita, la quale non è passabile di ricordo, ma può essere rappresentata nell’attività creativa. Gli Atelier hanno pertanto questa importantissima funzione di creare ed aumentare queste connessioni, e fare quindi un'opera di prevenzione contro eventuali malattie o disturbi psichici e somatici dovuti proprio ad una carenza di tali connessioni. Come abbiamo già visto, il disturbo della regolazione affettiva (meglio noto come Alessitimia) è un vero e proprio deficit di consapevolezza affettiva (“non so cosa sto provando e non lo so dire”), diverso dalla reazione difensiva da inibizione emotiva ( “so cosa sto provando ma non riesco a dirlo”). Quindi per intenderci l’Alessitimia riguarda l'esperienza di affetti non regolati di cui si ha percezione solo per la loro espressione fisica (emotions) ma senza essere accompagnati, integrati, connessi alla consapevolezza del loro corrispettivo mentale, soggettivo, psichico (feeling). L’utilizzo della teoria del codice multiplo della Bucci nella definizione dell’alessitimia appare infine utile poiché evidenzia l’aspetto deficitario dell’alessitimia: se in questa condizione la disconnessione si colloca tra il sistema subsimbolico e i sistemi simbolici l’emozione non è arrivata ad essere rappresentata nella mente del soggetto e quindi non può essere oggetto di fenomeni difensivi. È attraverso i nostri sentimenti che sappiamo cosa sta accadendo a livello delle nostre emozioni. L'arte è un mezzo molto efficace per favorire tale connessione. Intesa come mezzo espressivo essa mette in connessione le nostre parti non accessibili consapevolmente con le nostre parti del sé che fanno esperienza. Le differenze di potenziale creativo ed immaginativo della nostra parte inconscia, quando essa è libera, rispetto a quando è socialmente costretta dalla razionalità condivisa, vengono ben esemplificate nel passaggio che esiste tra l’arte paleolitica e quella neolitica. Nell’arte paleolitica dice Hauser (1955) vi è un’arte già sviluppata che dona fedeltà lineare alla natura, che presenta una tecnica fluida, quasi “impressionistica” poiché rende con efficacia l’impressione visiva in modo pittorico, rapido ed apparentemente improvvisato. Secondo Hauser, è già stato superato lo stato di natura istintivo, ma non sono ancora presenti le formule rigide e salde dell’arte successiva, che invece cominciano ad essere introdotte con il neolitico. Dice Hauser:” I pittori del paleolitico sapevano ancora vedere ad occhio nudo sfumature, che noi abbiamo scoperto soltanto con l’aiuto di complicati strumenti. L’età neolitica aveva già perduto la nozione. E fin d’allora l’uomo aveva sostituito saldi concetti alle immediate impressioni dei sensi. L’uomo paleolitico dipinge ancora ciò che realmente vede, e non più di quello che può afferrare con una occhiata in un determinato momento. La pittura paleolitica possiede apparentemente senza sforzo, quell’unità dell’intuizione sensibile a cui l’arte moderna giunge soltanto dopo una lotta secolare; essa può migliorare i propri metodi, ma non li muta, e il dualismo tra visibile ed invisibile, fra visione e conoscenza le resta affatto estranea.” Era una sorta di prassi magica per Hauser, ma non religiosa, l’arte nel paleolitico, dove la magia consisteva proprio nell’apparire delle immagini, perché l’immagine era insieme rappresentazione e cosa rappresentata, non si trattava di sostituzioni simboliche ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che ottenevano effetti reali. Per l’uomo paleolitico non erano rappresentazioni di pensiero onnipotente e nemmeno di fede, ma erano immagini concrete di azioni effettive, non erano imitazione, non significavano un campo specifico distinto e separato dalla realtà empirica, ma vedeva l’immediata, integrale prosecuzione della realtà nella sua immaginazione. Questo processo potrebbe essere accostato ai processi generalmente inconsci delle costruzioni di immagini, ipotizzati da Bion come funzionalità della mente alfa ad un primo impatto con la realtà. Questo processo, adesso nell’uomo, come dimostrano anche le neuroscienze, inconscio, è il primo processo integrativo della nostra mente all’enorme stimolazione della realtà, all” O di Bion. Nel uomo del paleolitico forse questa era la sua espressione massima della coscienza. Quindi mentre l’arte paleolitica ritrae le cose con naturalezza e con fedeltà, l’arte del neolitico contrappone alla realtà dell’esperienza un mondo stilizzato ed idealistico. Dice Hauser (1955):” L’arte diventa intellettualistica e razionale: introduce simboli e sigilli, astrazioni e sigle, tipi e segni convenzionali al posto di immagini e figure concrete, soppianta l’esperienza sensibile col pensiero e l’interpretazione, con la regola e il modello; insiste ed esagera, svisa e snatura. L’opera d’arte non è più l’immagine di qualcosa, ma di un’idea; non è più soltanto un ricordo, ma un simbolo: insomma, gli elementi concettuali e non sensoriali della rappresentazione soppiantano quelli sensibili ed irrazionali.” L’arte simbolica non deve essere considerata antagonista della natura, per il fatto che non può più essere un prolungamento della realtà, , ma bisogna invece comprendere che essa effettua una funzione di sostegno allo sviluppo del mondo interno e del simbolismo, per cui si contrappone alla realtà esterna per creare una condivisa realtà interna e sviluppare una forma autonoma di normativa di pensiero, quello sociale. Il naturalismo paleolitico invece esprime una visione immediata della realtà, un’arte del tutto intuitiva, molto diversa da quella che inizierà con il neolitico, sostanzialmente astratta e caratterizzata da una stilizzazione geometrica. Può essere caratterizzata da quella ricerca che bisogna fare secondo Bion, di trovare un contatto “intuitivo” con la realtà di O. Possiamo pensare che l’uomo paleolitico fosse in contato più immediato con la realtà di O, ma che avesse però capacità si distanziarsene simbolizzando cio di cui faceva esperienza.

Arte terapia psicoanalitica

L'arte ha il potere di rappresentare qualcosa di irrappresentabile ai più, creando nuove forme simboliche, atte a significare ciò che altrimenti rimarrebbe confinato nell'ineffabile. Così come gli artisti ci aiutano a pre-avvertire cose che solo dopo qualche tempo riconosciamo con chiarezza, il terapeuta (soprattutto attraverso l’uso di strumenti artistici) dovrebbe aiutare il paziente, prima ancora che a verbalizzare, a "sentire" dentro di sé quel qualcosa di non organizzato che, in prima istanza, può non essere chiaramente riconoscibile. Dovrebbe essere per lui ciò che l'artista è per il resto dell'umanità: il precursore di un'esperienza del proprio inconscio. Il ricorso ai mezzi e alle forme artistiche acuisce l'attenzione a ciò che sta oltre il comunemente percepito. Affina la capacità di esplorare quanto vi è di insolito e di specifico nella persona con cui dialoghiamo e di coglierne la singolarità, quella gamma di segni fisici sui generis, con i quali si esprime e che vanno a formare un rudimentale "linguaggio del corpo". In questo ascolto "al di là delle parole" trova accoglienza sia la componente somatica del sé sia la traccia di un divenire, dato che molte volte il linguaggio del corpo anticipa informazioni su ciò che si sta evolvendo e che non è ancora dicibile. Nella misura in cui viene sentito da qualcun altro, in tutte le sue manifestazioni somato-psichiche e nella globalità di passato, presente e futuro (il Sé potenziale), il Sé può rafforzarsi e proiettarsi nel domani. Se si dovesse definire pertanto un ambito di ricerca comune a psicoanalisi e arte, potremmo immaginarlo in un’area di confine tra l’immagine, il suono e la parola, in quell’area del non-visto, del non-udito e del non-detto, che è il crocevia del pensiero nascente. Sia l’artista che lo psicoanalista mirano a toccare i punti germinativi dei nostri processi mentali e a far sì che quelle esperienze di confine, potenzialmente dirompenti, tra non integrato e integrato, tra caos ed emozione, tra a-simbolico e simbolico, la mente le possa contemplare, senza esserne travolta. Psicoanalisi e arte condividono insomma un interesse conoscitivo. Ma c’è in più una comunanza di strumenti conoscitivi fondati su forme oniriche, prelogiche. La psicoanalisi infatti non si è limitata ad esaminare l’arte, ha cercato di assimilarne la lezione cognitiva, coltivando con un suo particolare metodo l’attività onirica come strumento intuitivo e includendola tra i suoi mezzi operativi (libere associazioni, attenzione fluttuante, reverie, empatia, controtransfert). I sogni, che hanno esordito come oggetto privilegiato di indagine, hanno finito così per essere utilizzati, grazie anche all’apporto dell’arte, come elaboratori di forme conoscitive. Nel corso delle antiche feste dionisiache la partecipazione al fatto rappresentato era un «acting». Il pubblico cooperava alla celebrazione rituale, più che assistervi. Tutti potevano diventare attori e rivivere il mito come ispirati dalla divinità. F. Nietzsche ne «La nascita della tragedia» (1872) illustra l’evoluzione del «tragos» (il capro sacrificato in onore di Dioniso) in «eroe tragico», che assume su di sé i colpi del destino; evoluzione cui corrisponde quella del «coro» dei fedeli, i quali dall’esaltazione di una fusione mistica col dio (favorita dall’incentrarsi sul capro espiatorio di tutti i mali e i dolori del mondo) accedono all’osservazione partecipe del dramma celebrato. Il passaggio dal rito religioso, fondato sulla immedesimazione col dio, all’arte scenica avviene sostituendo la partecipazione attiva del pubblico con una partecipazione illusoria. Ciò si traduce in una precisa distinzione tra chi recita e chi assiste, tra palcoscenico e platea. Appoggiandosi alle immagini dell’illusione, si può accettare di assistere ad una realtà rappresentata e viverla come vera ma non reale (un assassinio sulla scena può risultare emozionante, mentre nella realtà lascerebbe impietriti dall’orrore). La certezza della finzione protegge dalla crudezza del concreto. Grazie a questa cortina protettiva dell’illusione estetica l’arte consente il piacere dello spiacevole. Narra il mito che Perseo, con i suoi calzari alati, si librò nel cielo e dall’alto, osservando nello specchio fatato, donatogli da Atena, il riflesso della mostruosa Medusa, riuscì a decapitarla nel sonno, evitando, grazie all’immagine, di rimanere pietrificato dalla visione diretta della Medusa reale. L’artista è in fondo come Perseo. L’immaginazione artistica stabilisce una distanza rispetto alle mostruosità interiori, fornendoci un loro riflesso che, come lo specchio di Perseo, ci consente di non rimanere atterriti dall’orrore di guardarle in faccia. Come se all’artista-Perseo fosse affidato il compito di neutralizzare il pericolo di uno sguardo troppo audace. Con Freud (1907) diremmo che «il ritorno del rimosso» produce angoscia e non può essere avvertito senza essere prima reso innocuo da una forma poetica o onirica, da una «formazione di compromesso», che lo renda meno esplicito. C’è bisogno di uno schermo, quello creato dal palcoscenico o dai sogni o dalla fantasia, affinché una realtà umana profonda e angosciosa possa essere conosciuta, protetti dal terrore di un incontro ravvicinato. L’immagine attenua la paura dell’impatto con una realtà sconosciuta, proponendosi come il riflesso del mai-visto, come messaggera inoffensiva del qualcosa d’altro. Esorcizzando il terrore del nuovo, ridà vita al pensiero e lo fa volare (Di Benedetto 1993). Quindi l’arte si sintonizza con i livelli più primitivi dell’integrazione psico-somatica, e sarebbe un modo di soddisfare il bisogno di ridare il corpo alla mente. L’oggetto estetico che si crea ci rileva a noi stessi, cioè identifica in ciascuno di noi alcuni aspetti che sono percepiti o intuiti, quando lo sono, solo in modo oscuro. Ci aiuta a straformare in immagini e pensiero emozioni che si trovano ancora in uno stato di caos. Si spiega così il paradosso dell’arte, che al tempo stesso illumina qualcosa che avevamo e non avevamo già in noi, ossia che avevamo ma non ancora in quella forma. La nuova forma corrisponde all’alfabetizzazione di elementi beta ed è quindi qualcosa sia di già conosciuto, proto-sensazioni, sia di nuove, come immagine, idea, pittogramma emotivo ecc. Come la madre, l’arte media tra la dimensione dell’”O” di Bion e il soggetto, presenta il reale a piccole dose tollerabili, come dice Winnicott, ad una soggettività embrionale, mostrandone il doppio volto di oggetto che insieme affascina e terrorizza. Alla nascita la prima integrazione non può che essere su base corporea e non può che rispondere ad una reverie sensoriale della madre, che si traduce per esempio in variazioni del ritmo di accudimento e che, non diversamente dal setting in analisi, porta gradualmente a scoprire l’oggetto e a disilludersi.. Similmente l’oggetto estetico creato fa rinascere ogni volta la psiche, o ne espande lo spazio, o ne rianima aree occluse e mortificate. Porta con sé il sogno di “O”; del reale che, per la sua creatività e sensibilità, l’artista ha potuto sognare e mettere a disposizione degli altri. La specificità dell’arte è di rivolgersi simultaneamente al livello psico-somatico di integrazione del soggetto. E’ molto limitante considerare solo il contenuto intellettuale e simbolico di un oggetto estetico, quello cui si è per lo più rivolta la critica estetica freudiana, e non anche la sua forma sensoriale. Le estasi e i terrori più profondi, infatti sono stati vissuti nel corpo e lì sono ancora depositati come oscure memorie. E’ a quel corpo, alle nostre parti più arcaiche e immature, ma proprio per questo più capaci di vedere il mondo come se fosse la prima volta, che parla l’oggetto estetico. Nell’arte terapia psicoanalitica è possibile lavorare con le immagini disegnate, dipinte, scolpite, fotografate ecc. in modo simile a come si lavora con i sogni. Sono entrambi funzioni della mente. E’ possibile osservare il materiale figurativo prodotte in seduta di arte terapia, cercano elementi infantili, elementi recenti , ed elementi somatici per evidenziare buchi, lacune assenze di connessioni fra , come abbiamo visto, fra gli schemi emotivi subsimbolici e quelli simbolici, dovute a carenze relazionali e a frustrazioni precoci troppo intense dei bisogni individuali. Uno degli aspetti più importanti dell’arte terapia è la sua vicinanza al sogno. L’arte come il sogno crea sostanza psichica, noi siamo vestiti, avvolti e protetti nel tessuto del sogno; ogni comunicazione verbale o non verbale ogni nostro avvicinamento alla realtà delle cose deve per forza di cose essere digerito attraverso il sogno. L’arte terapia psicoanalitica, spinta dalle dinamiche del transfert e del controtransfert, può amplificare il processo di ricombinazione di contenuti psichici inconsci, preconsci e consci. L’arte terapia si affianca al sogno che collega in forma creativa elementi appartenenti al passato remoto (elementi infantili remoti) e al passato prossimo (materiale recente), per costruire previsioni di scenari futuri. Le terapie artistiche, stimolando il processo di creazione di immagini, possono amplificare le rappresentazioni di noi stessi e dell’ambiente in cui siamo immersi; questo può contribuire a realizzare il nostro sé, da un lato rinforzando i legami con la nostra storia, dall’altro favorendo il cambiamento del nostro sé che deve adattarsi a una realtà sociale che cambia. La creazione artistica di immagini nella relazione arte terapeutica con la sofferenza mentale grave e con i disturbi alessitimici contribuisce a riparare le pellicole frammentate, i buchi, le lacerazioni, le assenze di immagini che impoveriscono e bloccano l’inconscio e che sono alla base di molti vissuti psicotici. Il terapeuta può ricostruire i sogni spezzati utilizzando l’arte terapia come forma di sogno esterno che accoglie la tendenza al “sognare fuori” del paziente psicotico o aiutare la mente del paziente alessitimico ha superare il deficit dell’incapacità a sognare. Si può co-costruire insieme a loro uno spazio transizionale esistenziale, duale, dove trovare il senso del proprio esistere e del proprio soffrire. Uno spazio dove si possa sperimentare il proprio dolore senza esserne sommersi ma sperimentando attraverso la costruzione di opere artistiche che si è capaci di sopportarlo, affrontarlo ed elaborarlo.

Modalità operative dell’Arte Terapia.

Il paziente viene invitato a guardare i materiali presenti nel laboratorio ed a scegliere, nel massimo della libertà quali utilizzare. Alla fine del lavoro, al di là dei materiali usati creta, colori, acquerelli collage ecc.) anche se è molto importante tenere a mente ciò che si usa, sarà prodotta una Immagine. Anche l’arte terapeuta può produrre dei lavori e quindi delle Immagini. Se egli è ben sintonizzato con l’esperienza emozionale implicita del paziente, produrrà delle immagini che saranno delle rappresentazioni elaborate dal proprio controtransfert. In breve l’immagine prodotta dal terapeuta rifletterà il connubio tra la sua capacità autoregolatoria di modulare emozioni a livello implicito e le emozioni messe in campo dal paziente. Attraverso la creazione di immagini sarà favorito quel processo che Bion chiama “funzione Alfa”. In un secondo momento il paziente e l’arte-terapeuta cercheranno di costruire connessioni tra le Immagini e le parole. Attraverso quest’ultime si favoriscono quei processi anti-alessitimici, dove si riesce a poter esprimere le emozioni presenti nelle immagini create, con l’uso della parola. Questo processo porta ad un incremento della capacità di simbolizzazione e della attività onirica e quindi favorisce la capacità di poter “sognare” la realtà. Il sogno è la funzione mentale più efficace per elaborare simboli psichici. Per riassumere: da un iniziale momento in cui si sceglie cosa fare, ed in cui si è agiti dalle nostre esperienze emozionali implicite, si passa ad una fase attiva esperienziale e quindi alla creazione di un’opera. Questa funge da oggetto transizionale e quindi da contenitore emozionale. L’obiettivo principale è favorire una maggiore capacità rappresentativa delle immagini come contenitore delle emozioni non elaborate dal paziente. L’immagine man mano che acquisisce una maggiore capacità rappresentazionale, fungerà sempre meglio da contenitore delle basi emozionali non elaborate del paziente. L’ulteriore passaggio è legare l’immagine alle parole, trovarne un senso, un significato attraverso l’utilizzo di vissuti e ricordi che l’immagine, suscita. Questo processo può essere favorito dalle Immagini che costruisce eventualmente il terapeuta. Esse saranno ulteriori immagini che arricchiranno i contenuti ideativi e psicologici che emergeranno successivamente attraverso l’elaborazione delle immagini del paziente in seduta. Quindi potrà dare maggiore chiarezza all’ immagine prodotta dal paziente. In tutto questo è evidente vedere tutto il processo referenziale della Bucci:- Il paziente costruisce connessioni tra processi mentali sub simbolici emozionali in processi, dapprima simbolici non verbali “le Immagini”, ed infine con processi mentali simbolico verbali attraverso l’utilizzo del linguaggio. Questa modalità operativa utilizza l’Arte Terapia in modo complementare e supportivo alla psicoterapia, nei casi in cui (come abbiamo già visto) se ne necessita l’utilizzo. Alle sedute usuali di psicoterapia si alternano incontri di Arte Terapia, condotti dall’arte terapeuta. Ma essa può essere parimenti efficace anche da sola, l’importante, che l’arte-terapeuta sia formato a questa tipologia di intervento e non solo che usi dei materiali artistici, ma che sappia usarli e collocarli all’interno di una tecnica e di una teoresi psicodinamica ben affinata e precisa. In conclusione ripetiamo che nell’arte terapia si favorisce e si da importanza solo al processo creativo e non all’opera completata, cosa che nell’arte invece è molto importante.

L’intervento creativo nell’arte terapia seguirà tre modalità di espressione. La Della Cagnoletta (2010) distingue tre modalità o fasi del processo creativo, che ricordano tre fasi del processo di crescita del bambino: a) la fase della “concentrazione corporea” basata sulla sperimentazione sensoriale e sull’uso dei colori, b) la fase della “risoluzione formale”, basata sulla linea più che sul colore e, sulla ricerca di forme e di strutture; c) la terza fase, della “narrazione simbolica”, in cui l’immagine è usata per raccontare e comunicare, nel riconoscimento di sé e dell’altro. Nella prima modalità quella a “concentrazione corporea” si privilegia un’esperienza che coinvolge primariamente i sensi e conduce ad una esplorazione sensoriale che a volte privilegia la vista, a volte il tatto, ma è stimolata anche dall’olfatto e dall’udito. Ogni materiale artistico, grazie alle sue qualità, può condurre ad esperienze di “holding” e di ritmo. Il tatto, il contenimento sensoriale e il ritmo formano le basi per fare un’esperienza di “continuità dell’essere” come la chiama Winnicott ed esperire quindi la continuità e l’interezza di un involucro che tiene e sostiene, ovvero le qualità di base che sostengono l’esperienza dell’essere corporeo e psichico del neonato. Questo richiama abbastanza con chiarezza le prime due configurazioni “somatopsichiche” che abbiamo trattato nel paragrafo precedente, dove la risposta più importante terapeutica è quella di fornire un ambiente che rispecchi l’holding” Winnicottiano. Questa modalità di “concentrazione del corpo” di cui parla la Della Cagnoletta, può essere una modalità che presenta simili caratteristiche di “continuità dell’essere” di cui parla Winnicott, quando si riferisce al processo di buon ambiente di “Holding”. Con la fase di “risoluzione formale” si intende invece una modalità artistica basata sul principio di astrazione, ovvero un allontanamento da ogni percezione sensoriale o da ogni contenuto simbolico che non sia dettata da bisogni inerenti alla forma. L’autore si riferisce alla sua opera come se fosse un oggetto in sé, con i suoi bisogni, che possono essere dettati dalla necessità di dargli più luce, o più morbidezza, o maggiore definizione, minore caos, più struttura ecc. L’obbiettivo consiste nel dare una configurazione estetica soddisfacente o funzionale al progetto artistico in corso. Non si fa riferimento ad alcun significato simbolico, ma l’oggetto ha una vita propria, di cui il creatore ha il controllo totale. Tutto il processo avviene in una modalità di risoluzione formale. Non ci sono connessioni simboliche, né particolare partecipazione corporea, se non nell’iniziale scelta dei materiali con cui designare le forme. Questo processo può ricordare l’atteggiamento, auspicato da Bion, che dovrebbe mantenere il terapeuta per diventare l” O” del paziente ,“ Senza memoria e senza desiderio”, ovvero senza ricordi e connotazioni simboliche già formate e, senza desideri, cioè senza percezioni fisiologiche-corporee. Il tutto per favorire l’espansione psichica, senza particolari interferenze di ricordi o percezioni sensoriali, per trasformare i contenuti informi degli elementi Beta in elementi alfa con una loro immagine e forma. Dare forma a l’informe. Questo è l’essere all’unisono con l’O del paziente, per poter diventare la sua realtà emozionale. Il processo arte-terapeutico di “risoluzione formale” da la possibilità di creare forma, e quindi può favorire il portare ad espressione formale, aspetti mentali informi che possono così diventare rappresentazioni psichiche. Infine il processo attivato e concluso all’interno della dimensione di risoluzione formale conduce alla terza modalità che è quella della “narrazione simbolica”, in cui è possibile dare un significato a ciò che è stato fatto, collegando i vari passaggi del processo con la propria storia personale. L’obbiettivo è quello di dare forma ad un oggetto che parli di sé, che raccolga e contenga i vissuti emotivi di quel momento. Questa modalità è molto vicina alla terza e alla quarta configurazione dette “psico-somatiche” da noi delineata, dove attraverso il lavoro di “contenimento” si attua il processo di trasformazione degli elementi beta in alfa. Questo processo creerà lo spazio “transizionale” dove avverrà il processo di simbolizzazione, di verbalizzazione e di narrazione delle emozioni, che verranno a costituirsi all’interno del sé entrando a far parte della continuità della storia del proprio sé. Un altro importante contributo da poter utilizzare è la nozione di campo sviluppata da Ferro (1992), che abbiamo già incontrato nel libro, accostata al disegno. Se si guarda, dice Ferro, il disegno come un “fotogramma onirico della veglia” esso fotografa una “verità” relazionale ed affettiva della coppia ( terapeuta-paziente) e del campo, in attesa però, di uno sviluppo narrativo: qualcosa, cioè, che non è lì per essere decodificato o tradotto alla lettera con una interpretazione precostituita e satura (non perché non è possibile farlo, ma perché, dice Ferro, perché dobbiamo chiederci a cosa servirebbe), ma che, è una raccolta di ingredienti per storie possibili da raccontare, un promotore di storie, un “pre-testo” in attesa di reverie e narrazione. Quasi come un fermo immagine di un video in attesa che torni a svilupparsi il movimento, e a riprendere corpo una storia del campo. Quindi il disegno visto non solo come un elemento dove vi è stato una proiezione transferale del paziente, ma visto come un sogno, rispetto al quale chiedere associazioni, che saranno pensate come del paziente sul disegno, per poter in maniera il più esaustiva possibile mettere in parole quello che è già nell’immagine del disegno che aspetta un pensatore per essere interpretato. Visto come elemento che appare nel campo terapeutico il disegno acquisisce la capacità di poter segnalare al terapeuta il funzionamento mentale in quel momento del paziente, ed anche in parte del terapeuta, quindi della coppia nel campo. Quindi il disegno farà riferimento alle modalità attuali ed effettive del funzionamento mentale di coppia, della situazione bipersonale in gioco, delle forze emotive del campo appartenenti ad entrambi i membri della coppia; non più come fantasie di transfert, ma come un vero fotogramma onirico del funzionamento mentale di coppia in quel momento, che dobbiamo condividere ed assumere per raggiungere il paziente dove lui è. Il disegno da statico e necessitante di un codice e di una traduzione, si anima come una specie di teatro affettivo e può divenire un teatro generatore di senso e significati, nello sviluppo che le due menti ne sapranno fare.

Gesti Psichici, funzione alfa implicita, Enactment nell’Arte terapia.

Nel trattare i gesti psichici come li ha descritti Sapisochin (vedi “I gesti psichici ed enactment”) abbiamo visto che essi sono una modalità di rappresentazione che non passa attraverso la parola ma attraverso una messinscena co-prodotta dal soggetto e da un altro, che nella situazione analitica è la persona dell’analista, mentre possiamo ipotizzare che in Arte terapia posa essere, oltre al terapeuta anche l’opera artistica che si costruisce. Nella costruzione di una qualsiasi opera artistica il paziente crea soprattutto immagini. Se guardiamo alla modalità descritta del gesto psichico di riattualizzare e presentificare, attraverso una messa in scena drammatica intersoggettiva con il terapeuta, che dovrà assumere su di sé ciò che il paziente ha deciso che lui debba essere, memorie implicite che non hanno trovato la via della rappresentazione e della simbolizzazione, possiamo pensare che l’opera artistica possa attivare tale processo. Il paziente investe l’opera come un oggetto su cui poter drammatizzare i suoi gesti psichici, come fa con il terapeuta, inscenando attraverso le immagine dell’opera una drammatizzazione, molto frammentata ed emotivamente forte se ha origine dalla memoria implicita, più articolata ed elaborata e più controllata a livello affettivo se proviene dalla memoria esplicita o autobiografica. L’opera diventa la scena che innesca il “gesto psichico” che si trasformerà, man mano che si compie, in un immagine o pittogramma ideo-affettivo (ma concretamente presente e riutilizzabile), che potrà essere dal paziente più facilmente usufruibile per poter innescare dall’immagine il processo psichico di simbolizzazione e di verbalizzazione successiva, che lo porterà a costruire ulteriori fili narrativi che intesseranno sempre più il tessuto psichico.